“Quando traduciamo ogni parola di una frase dal russo all’inglese, quindi alterando un po’ il senso e completamente il suono, nonché il peso e l’accento delle parole l’una in relazione all’altra, non rimane nulla eccetto una versione cruda e grossolana del significato originale”. Così scrive Virginia Woolf a proposito della spinosa questione sul tradurre i grandi classici della letteratura russa. I critici – che solo di rado hanno potuto confrontarsi con i testi originali – si sono trovati dunque a giudicare un’intera letteratura “denudata” del suo stile, a trattare i grandi scrittori russi come persone improvvisamente spogliate non soltanto di tutti i “vestiti”, ma di qualcosa di più sottile e importante: i loro costumi, l’idiosincrasia dei loro caratteri. Non solo. C’è una cosa con cui gli inglesi, leggendo i russi, si troveranno sempre a scontrarsi: il personaggio principale di tutta la loro letteratura, l’anima. Questa ha poco a che fare con l’intelletto, manca di forma, è confusa, tumultuosa, incapace, si direbbe, di sottomettersi al controllo della logica o alla disciplina della poesia. È ovunque: gli ubriaconi di Cechov se ne servono senza discrezione, in Dostoevskij è onni-presente. Non importa che si parli di una principessa o di un impiegato di banca, il russo ci riverserà sopra l’anima umana. Il saggio qui presentato uscì nel 1925 su The Common Reader. In appendice, tre recensioni di Virginia Woolf ad altrettante opere dei Grandi Russi.
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“Quando traduciamo ogni parola di una frase dal russo all’inglese, quindi alterando un po’ il senso e completamente il suono, nonché il peso e l’accento delle parole l’una in relazione all’altra, non rimane nulla eccetto una versione cruda e grossolana del significato originale”. Così scrive Virginia Woolf a proposito della spinosa questione sul tradurre i grandi classici della letteratura russa. I critici – che solo di rado hanno potuto confrontarsi con i testi originali – si sono trovati dunque a giudicare un’intera letteratura “denudata” del suo stile, a trattare i grandi scrittori russi come persone improvvisamente spogliate non soltanto di tutti i “vestiti”, ma di qualcosa di più sottile e importante: i loro costumi, l’idiosincrasia dei loro caratteri. Non solo. C’è una cosa con cui gli inglesi, leggendo i russi, si troveranno sempre a scontrarsi: il personaggio principale di tutta la loro letteratura, l’anima. Questa ha poco a che fare con l’intelletto, manca di forma, è confusa, tumultuosa, incapace, si direbbe, di sottomettersi al controllo della logica o alla disciplina della poesia. È ovunque: gli ubriaconi di Cechov se ne servono senza discrezione, in Dostoevskij è onni-presente. Non importa che si parli di una principessa o di un impiegato di banca, il russo ci riverserà sopra l’anima umana. Il saggio qui presentato uscì nel 1925 su The Common Reader. In appendice, tre recensioni di Virginia Woolf ad altrettante opere dei Grandi Russi.
Virginia Woolf
Virginia Woolf
2015
Maestri
238